Fabrizio Bellomo

Fabrizio Bellomo

Fabrizio Bellomo riflette sui concetti di divisione, misurazione e controllo, attraverso brani tratti in anteprima dal suo ultimo libro Meridiani paralleli e pixel (in uscita per Postmedia Books) e sue opere, come i ritratti numerici (2015-2017) e la ricerca screenshots (2012).

Dal reticolo del globo terrestre allo spazio virtuale della modellazione 3D, alla griglia di pixel della fotografia digitale, abbiamo sempre diviso e continuato a dividere; l’operazione costante della misurazione e del controllo da parte dell’uomo sul mondo ha previsto una incessante suddivisione in griglie sempre più piccole della “porzione di mondo” che avevamo precedentemente suddiviso.
In uno dei miei ultimi lavori artistici ho effettuato un’operazione di questo tipo:
[…] una trasposizione numerica fatta a mano del codice colore di ogni singolo pixel di una foto-tessera scaricata da internet. Un modus operandi che rimanda più al comportamento di una macchina che a quello di un essere umano.
I singoli codici dei colori dei singoli pixel sono stati riportati – quadretto per quadretto – su di un comune foglio a quadretti. A ogni quadretto, contenente un numero di 4 cifre scritto a mano, corrisponde il dato colore del rispettivo pixel appartenente alla foto-tessera scaricata.
Realizzare questa operazione a mano, anche se si tratta di un immagine molto piccola (59 per 65 pixel): significa controllare singolarmente a quale numero di decodifica (o codifica che dir si voglia) corrisponde ogni pixel, e – dopo di che – riportare il dato verificato su di un foglio a quadretti, quadretto per quadretto. Questa sequenza di operazioni ripetuta – in questo caso – per 3835 volte.1
Nonostante l’operazione di decodifica dei pixel colorati in numeri, si riesce comunque a intravedere un viso – il volto della fototessera dell’immagine digitale scaricata – nella tabella che viene fuori da questo processo di operazioni. Questo perché il codice numerico scritto a penna su ogni singolo quadretto è comunque un segno visivo; se a un colore corrisponde un segno e a un altro colore un altro segno (con relative intensità luminose differenti), per corrispondenze nella formazione della tabella (immagine), riusciremo a intravedere il volto della fotografia nonostante la decodifica. Scriviamo una tabella a griglia di dati numerici, ma riusciamo comunque a leggerne un’immagine.

Quello che per me è stato un vero e proprio esercizio di copiatura a mano di un’immagine digitale, fa tornare in mente le parole di Luciano Canfora sulla figura del copista:
[…] Il copista, infatti, deve essere considerato inanzi tutto come lettore, anzi come unico vero lettore del testo. Giacché la sola lettura che porti ad una piena appropriazione del testo è l’atto della copiatura: la sola via di appropriazione di un testo consiste nel copiarlo.Aggiunge inoltre: Perciò non si copia qualunque testo.3

In questi giorni sto rifacendo lo stesso esercizio con altri soggetti fotografici: questa volta sto ricopiando delle fotografie segnaletiche scaricate dal web. Non è un caso che abbia scelto delle fotografie segnaletiche e delle fototessere come soggetti da ricopiare, ma qualcosa che ha a che fare con l’antropometria giudiziaria e il sistema del riconoscimento facciale di cui prima. Copiare a mano queste foto bit-map è stato per me un momento chiave nella comprensione del cosa sia una fotografia digitale. Tutti sappiamo di cosa è composta una fotografia digitale (cioè di pixel); effettuare questo lavorio – normalmente codificato in automatico da un macchina – a mano, mi ha aiutato a comprendere dove poter cercare le radici dell’immagine digitale. In quanto copista, sono stato un vero lettore dell’immagine digitale per usare le parole di Canfora.

Provate a ricercare – mediante Google images – questi termini: marocchino; rumeno; tunisino. Nel vocabolario della lingua italiana queste parole stanno a indicare la nazionalità di un individuo (o di un gruppo di individui) e/o la lingua di un popolo. Ma, osservando il risultato che scaturisce dalla ricerca immagini attraverso queste parole. ci si rende conto di come le stesse abbiano preso a significare altro. Il responso visivo che il motore di ricerca ci dà, è criminale; questo tipo di associazione viene immediatamente alla mente in quanto una percentuale altissima delle prime immagini risultate dalla ricerca hanno a che fare con una icona negativa della nostra memoria collettiva, ovvero la foto segnaletica. Consiglio a questo punto al lettore di interrompere la lettura per provare a fare tale ricerca. Perché si ottenga un responso visivo simile dal motore di ricerca sulla parola italiano va digitata assieme la parola pregiudicato.
Questo stereotipo ci rimanda – ancora una volta – a Cesare Lombroso e ai suoi studi. Tutto questo, in termini pratici e numerici, significa che ogni volta in cui un qualsiasi medium ha usato una di queste parole, ha accostato alle stesse o una foto segnaletica della polizia. Così facendo si sono instaurate e radicate all’interno della memoria collettiva di un paese associazioni stereotipate e razziste tra significato e significante. Il responso visivo che Google images fa emergere da queste ricerche è l’emblema visivo di un nostro comportamento mediatico quotidiano, di una criminalizzazione etnica attuata mediaticamente e quotidianamente.

In Italia, il significato – l’immagine mentale presente nella memoria collettiva – della parola Rumeno è una foto segnaletica della polizia di un cittadino di origini rumene.
Ergo: tutti i rumeni sono dei criminali. Ora proviamo a innescare in questo contesto di nuovo il discorso sul riconoscimento facciale delle texture dei volti. La schermata di ricerca immagini tramite termine su Google altro non è che una griglia di dati, e queste immagini sono a loro volta altre griglie di dati più piccoli. Attraverso il metodo del riconoscimento facciale basterà introdurre la tabella numerica di sequenza di dati che compone la texture di un volto da individuare e far si che il calcolatore effettui le proprie ricerche tramite comparazione di dati. Cesare Lombroso credeva in un mondo controllato dai numeri, in un mondo monitorato e dominato dall’oggettività numerica: Per molti il progresso si riduce a certe macchine meravigliose come il telegrafo e il vapore. Per me, invece, il vero carattere che distingue la nostra dalle epoche antiche sta nel trionfo della cifra sulle opinioni vaghe, sui pregiudizi, sulle vane teorie.4 Molti si scagliano contro le sue teorie, alcuni promuovono anche l’idiota ipotesi di chiudere il museo a lui dedicato a Torino, ma il sogno di Lombroso è già presente da tempo nel nostro quotidiano. In una delle opere più famose di Cesare Lombroso è presente il termine atlante, ed è un volume pieno zeppo di tabelle, grafici e mappe votate a sostenere le sue teorie fisiognomiche tramite la comparazione di dati, dati che spesso equivalgono a delle fotografie, appunto. Anche alcuni dei lavori più noti e riconosciuti come fondamentali sullo studio dell’immagine da parte di artisti e studiosi, si chiamano così: L’Atlante di Richter; L’Atlante di Aby Warburg; L’Atlante di Luigi Ghirri.

E sono tutti volumi atti a comparare e incasellare una serie di dati – anche emotivi – sotto forma di fotografie; vi ricordate di Marey, che vedeva il mezzo fotografico come uno solo degli strumenti necessari al cronografo?


Note

1 Angiolini Eleonora, Fabrizio Bellomo: L’immagine, la macchina, in VIXmagazine.it, 22/10/2015
2 Canfora Luciano, Il copista come autore, Sellerio, Palermo 2002, pp.18-19.
3 Ibidem
4 P. Bianucci, C. Cilli, G. Giacobini, G. Malerba e S. Montaldo (a cura di), Il Museo di Antropologia Criminale “Cesare Lombroso” dell’Università di Torino (guida alla visita), Op. cit., pp.20.